La «Famiglia Perugina» si oppone con fermezza alla decisione del ministero dei beni culturali - Mobilitazione contro la tendenza disgregatrice
E' di questi giorni la notizia che quattro preziosi reliquiari dipinti del
Trecento da anni nella Galleria Nazionale dell'Umbria sarebbero trasferiti, per
disposizione ministeriale, da Perugia a Spoleto.
Contro l'assurdo provvedimento abbiamo subito, ovviamente, protestato presso il
Ministro dei Beni Culturali Oddo Biasini a nome della «Famiglia Perugina» e
dell'intera città che la «Famiglia» stessa rappresenta.
Provvedimento assurdo per più motivi.
Quello culturale anzitutto: i reliquiari stessi erano e sono parte integrante
d'un unico discorso artistico, che così andrebbe disperso.
Quello pubblico poi: i beni sono stati acquistati ed appartengono allo Stato
italiano e non si vede perché debbano uscire dalla sua sfera d'influenza (che
appunto la Galleria rappresenta).
Quello della tutela ancora: nella predetta nostra Galleria godono di sistemi di
sicurezza di cui tanto più in questi momenti abbisognano e di cui altrove non
potranno godere.
Quello della fruibilità infine: la Galleria Nazionale dell'Umbria è frequentata
da migliaia di visitatori all'anno (oltre 60.000) e saranno messi in luogo
frequentato per certo da molti meno.
Ma, dopo avere fatto quanto di nostra competenza, riteniamo dover mettere in
stato d'allarme l'intera città. Almeno quella che tiene alla sua integrità.
Anche perché la notizia è sintomo d'una tendenza che sottilmente si va
insinuando: quella della dispersione e polverizzazione di beni e valori.
Diciamo subito, ad evitare equivoci, che Perugia non accentra: adempie soltanto
quella che è la sua funzione storica e culturale.
D'altro canto, la cultura e gli strumenti della cultura non possono essere
frazionati: se una biblioteca è sparpagliata in mille case, non è più tale e non
è più fruibile da nessuno; se chiunque ha un francobollo se lo tiene, non si
farà mai una collezione; se l'acqua di un fiume la si divide in rivoli, finisce
poi per evaporare.
Viviamo purtroppo, è vero, in una società sempre più egoista e campanilista:
ciascuno ritiene di dover avere la sua fetta, anzi anche la fetta di competenza
altrui; nessuno vuol mettere quanto necessario a disposizione degli altri; si
suddivide, anziché unire nel comune interesse. E proprio in un'epoca in cui la
facilità delle comunicazioni permette a tutti la fruibilità dei beni
organicamente strutturati.
Ci sembra assurdo, come ci sembrerebbe assurdo che, poniamo, gli altiforni di
Terni fossero suddivisi un po' per parte.
E Perugia, infatti, non ne ha mai chiesto una succursale.
Ma la stessa cosa è per quelle istituzioni che Perugia ha e per quelle funzioni
che, per sua natura e destinazione, deve svolgere: non è lecito frantumarle per
soddisfare gretti e campanilistici appetiti.
Non è lecito, perché si offende la cultura, il buon senso, la tutela e la stessa
economia della cosa pubblica.
Ed e, in definitiva, un impoverimento per tutti.
Ed, invece, c'è appunto questa latente tendenza demagogica a soddisfarli.
Oltretutto, gretti ed inutili, perché non sarà mai un reliquiario, una tela o un
manoscritto che cambieranno carattere, natura e tendenza d'un paese. Né ne
faciliteranno lo sviluppo od eviteranno il declino.
Serviranno soltanto a distruggere quanto d'organico, d'utile e valido costruito
per l'intera comunità.
A tale tendenza, Perugia deve consapevolmente ed energicamente opporsi: a difesa
dei suoi diritti; ma soprattutto delle funzioni di tutela della cultura. E della
logica.
Perugia, è noto, non ha mai avuto e tanto meno ora ha santi in Paradiso: tra
l'altro, è sempre di questi giorni la notizia che lo stesso ministro, dovendo
indicare all'Unesco cento beni culturali italiani degni di tutela, ne ha
segnalati altri dell'Umbria e niente di Perugia.
Ci sarebbe da arrabbiarsi ed, invece, ne prendiamo atto dicendo che è confermato
come Perugia - e può essere un vanto - è destinata a fare sempre da sé.
(E, del resto, forse è prôprio per questo che s'è sviluppata, ed è divenuta la
città d'Italia«ove si vive meglio»).
Ma, appunto, perché deve fare da sé e da sola assolvere la sua naturale funzione
storica e civica, occorre che ora si mobiliti contro questa assurda e demagogica
tendenza disgregatrice.
La «Famiglia Perugina»
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A proposito del trasferimento alla galleria nazionale «Chi ci accusa di scarsa informazione è a sua volta gravemente disinformato» - «Concetti superati? ce li teniamo...» - Perugia non è «una vecchia signora»
Scrive la Famiglia Perugina:
Ci spiace che il nostro intervento contro il progettato trasferimento dei
reliquiari dalla Galleria Nazionale dell'Umbria abbia riacceso faide comunali
tra Perugia e Spoleto. Ci spiace, perche, speravamo appartenessero ormai al
passato. E, per non gettare ulteriore legna sul fuoco, avevamo infatti deciso di
desistere.
Non è dunque colpa nostra, se una nuova ondata di pesanti accuse ci costringe,
tirati proprio per i capelli, a tornare sull'argomento.
Diciamo subito che non è comunque il caso di dissotterrare l'ascia di guerra,
tanto più che non saranno certo quei reliquiari a cambiare le sorti economiche e
culturali di Spoleto. Ed ancor meno di Perugia.
Dopodiché vediamo di difenderci, senza salire in cattedra come «ex adverso» si
pretende; ma senza naturalmente permettere che vi salgano gli altri.
Sul campanilismo sorvoliamo: non è certo il caso di Perugia, che non ha mai
sollevato diatribe per avere quanto le è stato sottratto, anche se era ben più
importante di questi reliquiari (tanto per dire, soltanto opere di Raffaello ne
ricordiamo almeno sei che aveva e non ha più).
E sorvoliamo pure sugli altri «fiori», anche se uno di essi, per dovere
d'ufficio, proprio non dovremmo: quello, cioè, che taccia Perugia di «vecchia
signora». Ma evidentemente l'articolista è da tempo che non prende la diligenza
per salire sul nostro colle e così non sa quanto sia, e sempre più, pulsante di
presente. Ad ogni modo, bando alle parole e andiamo al concreto.
Siamo dunque accusati di scarsa informazione in quanto quei reliquiari
apparterrebbero a Spoleto. Accusa, oltre che gratuita, errata sotto molteplici
aspetti tutti ampiamente documentabili (e ci offende l'avere supposto - ma ancor
più dovrebbe offendere chi l'ha supposto - che un'associazione come la nostra
non fosse capace di tanto).
Primo: non è vero che siano di proprietà di Spoleto. Prima erano delle monache
ed ora sono dello Stato italiano che ha il dovere di tenerli nei luoghi di
pertinenza (quale, appunto, la Galleria Nazionale dell'Umbria).
Secondo: Spoleto non ha fatto nulla, in concreto, per averli nel museo comunale.
Pur avendo avuto per molti anni la possibilità di acquistarli dal convento (per
un prezzo dopotutto accessibilissimo) e pur essendo sollecitato a farlo, se ne
guardò bene e lasciò che fossero, come furono, portati altrove.
Terzo: quando finalmente, dinanzi all'assoluta inerzia di Spoleto, lo Stato,
sollecitato dalla sovraintendenza di Perugia, ad evitare che finissero in mani
d'antiquari o addirittura all'estero, li acquistò, erano, infatti, già da tempo
a Trevi. Quindi materialmente furono presi non da Spoleto ma da Trevi.
Né e vero che furono acquistati per essere destinati a Spoleto e solo
temporaneamente dati in deposito alla nostra Galleria. Dall'atto di acquisto
(rogito rep. 1386 del 4-10-1973, registrato a Perugia l'8 ottobre 1973 al num.
1476) non risultava tale destinazione, né tale condizione. Furono acquistati
nudamente e semplicemente, evidentemente per essere assegnati e conservati nei
luoghi dallo Stato deputati allo scopo (le Gallerie nazionali, appunto).
E' vero
soltanto che, quando lo Stato l'acquistò, Spoleto glieli chiese; ma è ben comodo
modo quello prima di non esporsi pur potendolo e poi di chiedere in dono.
Come si vede, i fatti stanno in maniera ben diversa da quella «ex adverso»
prospettata. Senza fare illazioni, limitiamoci a dire che chi ci accusa di
scarsa informazione, è a sua volta gravemente disinformato. A volte succede,
anzi da noi spesso.
Ma il punto di fondo, ancor più che giuridico, è culturale.
Ci si accusa in proposito d'avere concetti superati. Bene: ce li teniamo
ugualmente, ritenendoli gli unici utili alla cultura ed alla collettività. Gli
unici capaci a farci uscire dalle secche ora imperanti delle «parrocchie», delle
«sagre» e dei dialetti; gli unici capaci di farci avere una visione un po' più
universale dell'arte, della storia e della vita.
Superata o no (e poi da chi? da chi oggi troppo disinvoltamente sale in
cattedra?), la nostra tesi è quella di servirsi dei bene culturali per farne, se
possibile, organici strumenti efficienti, completi, tutelati e fruibili
dall'intera collettività: impresa resa impossibile dal frazionamento.
Né dimentichiamo che la nostra è, dopotutto, una piccola regione e, di
conseguenza, ridotta è la sua area culturale: frazionarla ancora significa
annullare ogni possibilità di valido discorso. Ed impedire la funzione stessa di
questa Galleria che - come dice il suo nome - non è di Perugia, ma dell'Umbria
tutta intera.
Il giustificare il trasferimento con il fatto che i detti reliquiari
originariamente appartenevano ad un monastero di monache spoletine significa
soltanto, una volta introdotto il principio, autorizzare ogni conterraneo a
recarsi in Galleria a ritirare il suo pezzo per riportarlo nel monte o cascinale
originario (a maggiore disponibilità, oltretutto, degli oggi attivissimi ladri
di opere d'arte). Con la conseguenza di vederla in breve vuotare. E con quale
beneficio per la cultura e l'economia della cultura è facile dedurre.
I cortesi (mica tanto …) contraddittori per metterci in imbarazzo ci chiedono:
«e se un giorno si svegliassero gli Uffizi?». Al che viene spontaneo rispondere:
«e se un giorno si spogliassero gli Uffizi?».
Il che - visto il vento che tira - è anche probabile.
Solo che sarà possibili se mai imporcelo; ma non certo farcelo accettare.
La Famiglia Perugina
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