Una nota dell'avv. Dante Magnini, presidente della «Famiglia Perugina», scritta in occasione delle cerimonie di ieri per il grande maestro toscano
Una numerosa folla ha partecipato, ieri mattina, alla cerimonia dello
scoprimento della stele commemorativa del grande artista toscano, ma perugino di
adozione, Arturo Checchi.
Ha proceduto allo scoprimento Ottorino Gurrieri,
presidente della brigata perugina amici dell'arte.
Il sindaco Perari, nel suo
intervento, ha ricordato come i «giardini» dove la stele è stata scoperta,
fossero la tappa preferita, il luogo prediletto del maestro, dove Checchi ha
trovato ispirazione per i suoi suggestivi paesaggi umbri.
Anche il presidente della azienda di turismo, Saverio Ripa di Meana, ha
ricordato la figura di Arturo Checchi, artista e uomo; ha detto che la pietra
nella quale il bronzo autoritratto dell'artista è stato inglobata sia stata
«cavata» dai vicini colli; ed ha ancora sottolineato come opere del maestro si
trovino, donate dalla fedele compagna di Arturo Checchi, in piazza d'Italia, e
«il violinista» al teatro Morlacchi.
Brevi parole sono state pronunciate da Ottorino Gurrieri.
Le autorità si sono poi recate nella zona del piazzale della Cupa dove è stata
inaugurata la targa stradale che intitola la strada di collegamento fra viale
Pellini alla Pioggia Colombata al grande artista.
Nell'occasione di questa commemorazione che il comune e l'azienda di turismo
hanno voluto organizzare per ricordare Arturo Checchi, l'avvocato Dante Magnini,
presidente della «Famiglia Perugina» ha scritto questa interessante nota.
Perugia in questi giorni ricorda Arturo Checchi, un suo figlio adottivo che
restò come artista.
Noi qui vorremmo piuttosto ricordare l'uomo, sperando non ci faccia velo esserne
stati amici ed averne comunque condiviso le scelte.
E' anche questione di competenza: c'è chi sa misurare le pennellate, i grumi di
colore, le provenienze e gli «ismi». E chi può soltanto, se può, cercare di
valutare un uomo per quello che è. Ed anzitutto se è.
Che poi anche «vivere vero» è un'arte: intendiamo dire che è già un privilegio.
Vivere vero: vivere cioè il suo tempo al di sopra del tempo, parteciparvi senza
esserne sommerso. Che non è semplice, perché il tempo t'impone una presenza
cosciente ed insieme però ti propone mode, patti, lusinghe. Anche la minestra a
mezzogiorno. Tanti compromessi, insomma.
Per riuscirvi occorre avere, come Arturo ebbe, consapevolezza di sé: della
propria dignità d'uomo. E la sua prima scelta fu appunto di non scendere a
compromessi, d'anteporre sé alle cose.
Sembrò così un uomo complesso: ed invece era semplice. E' la società piuttosto
ad essere spesso confusa.
Mirabilmente libero, non accettò dittature e rifiutò il fascismo, incurante di
persecuzioni, di veti, d'ostracismi e tuttavia seppe essere liberamente amico di
fascisti, d'alcuni almeno, perché sapeva che più del colore della camicia conta
chi c'è sotto.
Non gli fece mai velo nulla: scettico nei riti, rispettò più d'una tonaca, ogni
qualvolta lo meritava. E della religione percepì sempre il messaggio.
Democratico autentico; amò il popolo avvertendone l'autenticità e l'ansia di
giustizia; ma non fu un populista, perché non ammetteva confusioni, lassismi, il
facile. Lui che al contrario amava anzi il difficile o, più che amarlo, lo
riteneva indispensabile per non appassire.
D'idee sociali avanzate e però aristocratico. Se è possibile, un socialista
aristocratico. Così come un laico religioso. Del resto, l'etichetta in un uomo
come lui contava poco. E poi per principio diffidava di tutti gli «ismi»: vi
fiutava il dogma, e la rinuncia, due cose da rigettare.
Subito conscio del suo valore, tanto che sin da giovane ed anche se ne aveva
bisogno preferiva non vendere piuttosto che svendere, si valutò sempre per
quello che era, senza ipocrisia e tuttavia, od anzi proprio per questo, non
corse mai dietro alla fama. Credo che nessun critico ebbe in omaggio un suo
quadro, nessun gallerista un ossequio, ignorò quanto usava ed usa per farsi
comprare. Appunto perché, prima che pittore, era uomo. E le sue opere così le
regalò non a chi gli serviva; ma, se mai, a chi servivano.
Estremamente onesto con sé, lo era anche con gli altri: credo che, neppure per
cortesia, non elargì mai un elogio se non meritato: al più, per educazione,
restava zitto.
Amò visceralmente l'arte in tutte le sue forme; ma appunto perché l'amava tanto
non ammetteva che fosse inquinata. Amò poco i dilettanti, occorre riconoscerlo:
i venditori di fumo per nulla. Ed ignorò sempre il superfluo. E vide però ciò
che c'era di valido in tutti, anche nei più modesti.
Sembrava difficile catalogarlo, tanto più che quando lo conoscemmo era già
l'epoca degli uomini riciclati. E lui invece era unico ed intero. Forse perché
veniva di lontano; non per l'età, che in chi come lui l'età non conta; ma perché
portava, com'è dono d'alcuni, quanto l'uomo nei secoli ha dovuto imparare e
quanto ha saputo conservare: diffidenza e speranza. Diffidenza nell'apparenza
delle cose e speranza però nel destino dell'uomo.
Una scorza dura che difendeva un'intatta dolcezza. Una dolcezza da tenere
nascosta, perché non si sciupi. E neppure i sentimenti voleva sciuparli: prima
d'aprirti il suo animo sincero, ti scrutava profondo. E, se non meritava, non
l'apriva. Come per le sue opere, si vendeva caro. In compenso poi t'offriva tanto.
Avveniva così che sulle prime, ad accostarlo, incutesse addirittura soggezione,
quasi t'imponesse esami di coscienza; ma, poi lasciandolo ne uscivi pulito.
Forse s'innamorò di Perugia proprio per questo: perché s'identifica in quella sua
struttura rude ed in quella disponibilità d'insieme a visioni serene. In quella
sua vita tormentata dal vento, faticata dalla necessità di salire, aliena
com'allora era dalle mode, capace di conservare il suo impegno civile e di
conservarsi fedele, d'essere antica e nuova, semplice e altera. Proprio per
questo pensiamo seppe esserne così mirabile interprete.
Fu un uomo difficile, dicevano. E' che appunto non credeva nel facile: tutto
costa fatica o forse deve addirittura costarlo. Anzitutto vedere l'essenziale.
E qui riuscirebbe comodo dire che lui d'ogni cosa seppe cogliere le linee che
contano, perché artista vero.
Diremo invece che fu tale, perché anzitutto vero come uomo.
Dante Magnini
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